giovedì 30 maggio 2013

Il silenzio di un bosco (l'essenziale è invisibile agli occhi).

Mio padre, nell'aprile del 1945, tornò a piedi e con mezzi di fortuna da dove la Marina lo aveva congedato (Napoli) fino su in Liguria, dove vivevano i suoi. Non dava notizie da due anni. Sua mamma lo credeva morto e gli faceva celebrare le Messe dal Parroco del Paese. Arrivò, entrò nella piccola casa contadina, trovò la sua vecchia mamma. Mi disse che non riuscirono a parlare per tantissimo tempo. Si scambiarono un abbraccio forte, profondo, pieno di commozione. Faceva freddo, la casa era poverissima. La prima cosa che fece  fu andare nel bosco a fare legna. Per il camino, per la stufa. Oggi mi torna in mente questo racconto di vita e, finalmente, posso dire che - a 53 anni - lo capisco.
Dopo anni di morti, guerra, bombe, lutti, malattie, sofferenze, trovò il suo bosco come l'aveva lasciato. Silenzioso. Che seguiva i ritmi della natura.
Perchè oggi scrivo di questo? Perchè, nel mio piccolissimo - e papà mi perdonerà per il paragone "blasfemo" -  è come se fossi tornato a casa da una piccola guerra. Della quale, tornando, si fatica a parlare e che molti, distrattamente, non immaginano. La casa di oggi è una città povera e infreddolita, per la quale c'è bisogno di "fare legna". Non è il tempo delle parole, ma degli abbracci. Quelli come papà, quasi settanta anni fa, ricostruirono questo Paese dalle macerie. Nel silenzio, andando all'essenziale. Che poi, come disse la volpe, è invisibile agli occhi.

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