mercoledì 26 giugno 2013

Berluskamen I, la dinastia, tra faraoni veri e presunti.

"Il ritorno della mummia", titolava "Liberation" pochi mesi fa, quando Silvio decise di ricandidarsi alle Politiche. Titolo forte, con una copertina che fece il giro del mondo. Ma anche, col senno di poi, un titolo profetico. Visto che oggi i giornali sparano sulle prime pagine l'investitura dinastica della figlia Marina a capo del Pdl. Senza un congresso, senza un voto popolare. Sulla base dell'appartenenza alla casata o meglio, a questo punto, alla dinastia. Poi non vi meravigliate se gli viene in mente di dire che  Ruby è la nipote di Mubarak, egiziano detto il "faraone". O anche che Silvio è padrone del Milan dove gioca El Sharawy, anch'esso detto "il piccolo faraone". Tutto si tiene, amici miei. La dinastia del Berluskamen I è solo all'inizio. Andiamoci a rileggere l'Esodo, va che è meglio.

martedì 25 giugno 2013

Sessanta milioni di ostaggi. Tutti italiani.

Solo in un Paese come il nostro si potevano "linkare", come fanno da ieri sera i cortigiani di Berlusconi, i due temi della condanna del loro capo (a sette anni di reclusione per concussione, sfruttamento della prostituzione con interdizione perpetua dai pubblici uffici) ed il futuro del Governo Letta.
Come se avessero una qualche attinenza logica o funzionale. E' invece la logica bieca e meschina del ricatto, cosa peraltro abbastanza comune in questi anni di basso impero e politica clientelare.
Solo due mesi fa Pdl e Pd, giurando solennemente di fronte al Capo dello Stato (dopo la loro incapacità a rinnovare anche questa Carica) si assumevano di fronte al Paese l'onere e l'onore di governarlo in una situazione eccezionale. Un governo comunque a termine, chiamato a fare poche cose ma buone: riforma elettorale, sistemazione dei conti pubblici, politiche attive di ripresa dell'economia e del contrasto alla disoccupazione, soprattutto giovanile. A parte un rinvio dell'Imu e l'annuncio del prossimo rinvio dell'Iva non c'è traccia delle riforme auspicate.
Cosa c'entra la condanna di Berlusconi in tutto questo? Nella logica delle vendette trasversali moltissimo. Nell'interesse generale, poco o nulla. La cosa triste è che ancora dopo venti e più anni questo Paese resta zavorrato dalla mummia appesantita o dal fantasma di un uomo che ne ha segnato le sorti e che da domani, sui libri di storia, non verrà certo ricordato per lo Statista della rivoluzione liberale o del nuovo miracolo economico. Sarebbe il momento di chiudere definitivamente con questo passato. Berlusconi si rassegni, si dimetta da tutto e combatta la sua solitaria battaglia per la giustizia che ritiene di dover ottenere. Ma la smetta di tenere in ostaggio sessanta milioni di italiani che non ne possono più delle sue avventure sessuali e giudiziarie.

mercoledì 19 giugno 2013

Parlando di finanziamento al non profit. Il mio intervento al Forum Terzo Settore Formazione Quadri del Mezzogiorno (Napoli, 2 marzo 2013)

Napoli, 2 marzo 2013. Intervento Formazione Quadri Terzo Settore

Lettera da Lampedusa

Sono il nuovo Sindaco delle isole di Lampedusa e di Linosa
Eletta nel maggio 2012, al 3 di novembre erano stati consegnati già 21 cadaveri di persone annegate mentre tentavano di raggiungere Lampedusa e questa per me è una cosa insopportabile. Per Lampedusa è un enorme fardello di dolore. Abbiamo dovuto chiedere aiuto attraverso la Prefettura ai Sindaci della provincia per poter dare una dignitosa sepoltura alle ultime 11 salme, perché il Comune non aveva più loculi disponibili. Ne faremo altri, ma rivolgo a tutti una domanda: quanto deve essere grande il cimitero della mia isola?
Non riesco a comprendere come una simile tragedia possa essere considerata normale, come si possa rimuovere dalla vita quotidiana l’idea, per esempio, che 11 persone, tra cui 8 giovanissime donne e due ragazzini di 11 e 13 anni, possano morire tutti insieme, come sabato scorso, durante un viaggio che avrebbe dovuto essere per loro l’inizio di una nuova vita. Ne sono stati salvati 76 ma erano in 115, il numero dei morti è sempre di gran lunga superiore al numero dei corpi che il mare restituisce.
Sono indignata dall’assuefazione che sembra avere contagiato tutti, sono scandalizzata dal silenzio dell’Europa che ha appena ricevuto il Nobel della Pace e che tace di fronte ad una strage che ha i numeri di una vera e propria guerra.
Sono sempre più convinta che la politica europea sull’immigrazione consideri questo tributo di vite umane un modo per calmierare i flussi, se non un deterrente. Ma se per queste persone il viaggio sui barconi è tuttora l’unica possibilità di sperare, io credo che la loro morte in mare debba essere per l’Europa motivo di vergogna e disonore.
In tutta questa tristissima pagina di storia che stiamo tutti scrivendo, l’unico motivo di orgoglio ce lo offrono quotidianamente gli uomini dello Stato italiano che salvano vite umane a 140 miglia da Lampedusa, mentre chi era a sole 30 miglia dai naufraghi, come è successo sabato scorso, ed avrebbe dovuto accorrere con le velocissime motovedette che il nostro precedente governo ha regalato a Gheddafi, ha invece ignorato la loro richiesta di aiuto. Quelle motovedette vengono però efficacemente utilizzate per sequestrare i nostri pescherecci, anche quando pescano al di fuori delle acque territoriali libiche.
Tutti devono sapere che è Lampedusa, con i suoi abitanti, con le forze preposte al soccorso e all’accoglienza, che dà dignità di esseri umane a queste persone, che dà dignità al nostro Paese e all’Europa intera. Allora, se questi morti sono soltanto nostri, allora io voglio ricevere i telegrammi di condoglianze dopo ogni annegato che mi viene consegnato. Come se avesse la pelle bianca, come se fosse un figlio nostro annegato durante una vacanza.

Giusi Nicolini

martedì 18 giugno 2013

Tra Putin, Gheddafi ed Erdogan (ovvero, la livida rabbia dell'escluso)

Trovo gravissime e fuori da ogni logica le dichiarazioni di ieri di Berlusconi circa l'invito a non rispettare gli impegni assunti (da lui) in ambito europeo. Nel merito e nel metodo. Nel merito, perchè il nostro Paese sta a piccoli passi cercando strategie di uscite dalla crisi, con occhio attento agli equilibri di bilancio ma anche agli impegni assunti in un contesto comunitario. Dire spudoratamente "che fai, se non rispetto le regole mi cacci?" (mi ricorda il battibecco con Fini qualche tempo fa) è, a dir poco, ignobile.  Soprattutto, è il massimo dell'inaffidabilità. Che credibilità ha, difatti, un uomo politico che teorizza il fare come gli pare se un impegno non gli garba? Nel metodo, l'uscita non casuale l'ha fatta il giorno in cui i potenti della terra si riunivano in Irlanda. Stavolta a stringersi le mani, finalmente, alcuni quarantenni: Obama, Cameron, Letta.
Qua da noi Berlu inaugurava una casa di riposo tra le montagne del bergamasco e si faceva accarezzare le rughe da Maroni (tutto visto in tv).
Mi veniva da pensare che la sua fosse solo una invidia verde, profonda, oscura. Di essere fuori dai giochi e sentire che nessuno lo ricorda o lo rimpiange. Forse perchè, solo fino a pochi mesi fa, sbandierava  i suoi grandi rapporti con Erdogan, Putin e Gheddafi. Una grande visione europeista la sua, senza dubbio.

venerdì 14 giugno 2013

Papaveri e sanpietrini

Oggi, venendo al lavoro, mi sono soffermato a guardare una immagine che ha catturato la mia attenzione. Un papavero nato tra due sampietrini, nel mezzo di una strada trafficata. Povero papavero, non avrà vita lunga.
Ma quel papavero è un prodigio della natura, della casualità (il vento soffia dove vuole), della forza propompente che rompe le pietre con la pazienza di uno stelo.
Non voglio indulgere al buonismo. Ma in questi giorni Roma presenta luci e profumi che sarebbe bello fermare nella memoria e trasmettervi. Quello dei primi tigli in fiore, del gelsomino selvatico. Di un cielo terso solcato da rondini e di tramonti da urlo.
Che stridore con quello che ci circonda: lavoro che manca, difficoltà personali e di intere famiglie, poca speranza per il futuro.
Ma quel papavero, quelle rondini, quei tigli ci ricordano che - comunque - ci sono forze che sono sopra di noi e che grazie a Dio, almeno queste, non governiamo. Che se ne fottono della crisi ed in qualche modo la irridono. Voi fate come vi pare, noi seguiamo i ritmi della natura. E' stato così sempre e sarà sempre così. Che bello riposarsi in un pensiero come questo. Buona giornata amici.

mercoledì 12 giugno 2013

Il voto amministrativo è un riconoscimento al governo di larghe intese? Letta, ma che dici?

Di diplomazia il Pd può morire. Tra i tanti commenti sentiti nel dopo voto ammnistrativo (cappotto del centro sinistra, 16 a zero. E poi a Roma, mai successo nella storia, tutti e 15 i Municipi saranno adesso governati dal centro sinistra), mi ha dato enormemente fastidio quello di Enrico Letta, premier, che ha osservato: "Il voto è un riconoscimento al governo delle larghe intese".
Un riconoscimento???
Allora, capiamoci. Se il risultato delle amministrative fosse stato opposto (cappotto del centro destra), oggi, dico oggi, i falchi del Pdl con in testa Silvio, avrebbero iniziato la Campagna elettorale per far cadere il Governo a breve, andare alle elezioni ed incassare l'inatteso regalo degli elettori.
Invece il Pd che fa? Fa l'ennesimo favore al Pdl inserendolo, non richiesto neppure, nella valutazione post elettorale che avrebbe espresso il gradimento all'attuale esecutivo. Ma cosa spera Letta? Che tirando a campare 12 o 14 mesi lavorando su riforme incerte, una ripresa che imporrà ancora lacrime e sangue, alla fine il centro sinistra andrà all'incasso?
Non sono uno stratega politico, ma - dico "ma" - se il Pd iniziasse a mettere paletti, convocare il congresso, eleggere un segretario giovane, motivato e ben visto ormai da tutto il Paese (indovinate chi è) avrebbe il sacrosanto dovere di andare davanti agli elettori e dire: "Ok. Ci siamo. Ripartiamo".
Evitando umiliazioni degli svaniti Cinque Stelle, chiudendo per sempre - stavolta per sempre - la stagione del Berlusconismo. Ci vuole uno stratega per avere questa visione del futuro?
PS. Scrivo questo post legittimato dalla partecipazione ad una Campagna elettorale fatta tra la gente, che ha portato voti nuovi ed insperati al Pd ed al Sindaco Marino. E la gente, credetemi, la pensa come me.

martedì 11 giugno 2013

Parlare civile

Sono stato oggi pomeriggio al Montecitorio. In programma la presentazione del libro "Parlare civile" edito da Bruno Mondadori e realizzato da un pool di giornalisti legati alla Agenzia "Redattore Sociale". E' stato un momento di grande formazione umana e professionale. Con la Presidente della Camera Laura Boldrini, don Vinicio Albanesi, Domenico Iannacone ed altri. Il libro è dedicato ai giornalisti ed a quanti "lavorano" con le parole. Mettendo in luce le tante, troppe volte nelle quali queste sono usate con leggerezza, con superficialità, con disattenzione o con dolo. Nascono così vocaboli che entrano nell'uso comune ("di colore", "nomade", "clandestino", ecc.) che innalzano muri, steccati e pregiudizi difficilissimi da abbattere. E  generano a volte sofferenze che la gente non immagina neppure.
Gli operatori della comunicazione hanno responsabilità immani nel provare - attraverso le parole che non sono mai neutre - a rappresentare il mondo nella loro complessa realtà. E non semplificando a tal punto da impoverire il contesto in cui dovrebbero brillare come luce (bellissima la citazione di una poesia di Mario Luzi fatta da Domenico Iannacone, bravo autore e conduttore de "I dieci comandamenti" su Rai Tre).
Particolarmente apprezzato l'intervento di Laura Boldrini, del quale ho preso appunti al volo: "ho fatto tante battaglie di civiltà e una, importante, è stata quella del linguaggio! Il linguaggio non è mai  neutro, ma determina la percezione dei fenomeni. Può "avvelenare il pozzo", e ripulire l'acqua, dopo, è difficile". "Provo molto fastidio quando ci si impegna perché l'informazione aiuti la comprensione di episodi e situazioni di discriminazione e questo sforzo venga poi liquidato solo come politically correct, come qualcosa di stucchevole". "Le persone che giudicano in questo modo in genere sono le stesse che identificano i comportamenti corretti e legali come espressione di buonismo. È un'attitudine miope, arrogante e autoreferenziale". "L'attenzione al linguaggio, in altri Paesi è al centro del dibattito sull'informazione. Pensiamo all'Inghilterra dove si fa in modo che nelle redazioni siano rappresentate tutte le minoranze". "C'è ancora molta strada da fare da noi. E questo libro è solo un primo passo. E' uno strumento importante rivolto ai giornalisti perché il linguaggio non sia vittima del pregiudizio. Un gruppo sociale deve essere chiamato come desidera, non con il nome affibbiato da altri e che magari ha una chiara accezione negativa. I soggetti più deboli soccombono anche di fronte alle parole, educhiamo i giovani a un utilizzo consapevole e responsabile delle parole con particolare attenzione a quanto avviene sul  web dove le parole arrivano a valanga e si moltiplicano. Contate su di me, questa battaglia civile è anche la mia!"

lunedì 10 giugno 2013

La grande Bellezza (e il grande Spreco).

Sabato ho visto "La Grande Bellezza", film di cui si parla molto, di Sorrentino. Con uno strepitoso Servillo come interprete principale. Quel Jep Gambardella che incarna una generazione fortunata, che ha vissuto gli anni del boom economico, ha potuto studiare, crearsi una professione. Eppure... si accorge, alla fine, di non aver realizzato nulla. Di avere buttato via doti e talenti. Di essersi lasciata vivere, perdendo le occasioni della vita, aspettando - come Godot - qualcosa "di più" (la grande bellezza) che non sarebbe mai arrivata.
Uscendo dal cinema pensavo che il titolo sarebbe potuto essere "il grande spreco".
Sullo sfondo, una Roma sontuosa nella sua bellezza. Quasi a dire che, in passato, ci sono stati uomini che le occasioni avute  le hanno sfruttate al meglio. Costruendo monumenti più duraturi del bronzo, lasciando ai posteri la Bellezza con la B maiuscola. Altro che Jep Gambardella.
Che alla fine, non mi fa pena, ma rabbia. Colto, sensibile, avrebbe potuto fare della propria vita qualcosa di meraviglioso. Per se stesso e per gli altri.
E' , alla fine, uno spaccato della nostra Italia di oggi. Che ha bisogno, lo ripeterò fino alla nausea, di ritrovare orgoglio di appartenenza, senso civico e di comunità. Superando le volgarità e la sciatteria. Io ho 53 anni e sono un po' più giovane di Jep Gambardella. Sento di avere ancora energie da impiegare in questo progetto, ma occorre che nasca una consapevolezza dal basso. Più di tanto noi cinquantenni non potremo fare. Spero nei nostri ragazzi, nella loro voglia di cambiare il mondo, ragazzi  che si impegnano (oggi ho saputo che saranno oltre 5 mila a frequentare i campi estivi di "Libera" discutendo di legalità),  tendenzialmente portati alla bellezza.  Sono loro la speranza di questo Paese. A patto di avere da noi adulti punti di riferimento e indicazioni certe. Solo così la grande Bellezza si potrà ritrovare.

venerdì 7 giugno 2013

Domenica al ballottaggio. Liberiamo Roma dagli interessi di pochi. Per farla tornare Comunità.

Liberiamo Roma dagli interessi di pochi per mettere al centro la Comunità.
E' stato questo il tema centrale della mia Campagna Elettorale per il Consiglio Comunale.
Vi avevo promesso che questa battaglia non si sarebbe esaurita. Abbiamo tutti la possibilità di lavorare finalmente per il bene comune inteso come promozione delle condizioni per realizzare le nostre aspettative di vita, lavoro, benessere in senso ampio. Votiamo Ignazio Marino. E apriamo una pagina nuova per Roma.

giovedì 6 giugno 2013

Perotto. Chi era costui? Una storia che avrebbe cambiato il nostro Paese (e non solo).

Oggi vi racconto una storia. E' una storia di un treno che passa, che si ferma nel Paese più bello del mondo, cerca di farci salire sopra le persone migliori, ma poi riparte vuoto per via del tempo che perde ogni volta alla stazione. E' la storia di Pier Giorgio Perotto. Ingegnere (nato nel 1930, morto nel 2002). Prima semplice ricercatore, in pochi anni (dal 1957 al 1963) divenne capo ingegnere della Olivetti, la mitica azienda di Ivrea leader mondiale (fino agli anni '80) di quello che si chiamerà "office automation" (calcolatrici, macchine da scrivere meccaniche e poi elettroniche). Ma anche azienda "a misura d'uomo", integrata in un contesto sociale ed economico che ha fatto scuola, e su cui spero sappiate qualcosa (avrete sentito parlare del fondatore, Adriano Olivetti, insuperato imprenditore attento al fattore umano).
A capo di un gruppo di giovani, Perotto nel 1962 iniziò a lavorare ad un progetto folle per l'epoca: la realizzazione di un calcolatore elettronico con dimensioni poco più grandi di una macchina da scrivere, che fosse dislocabile in ogni ufficio ed assolvesse le stesse funzioni dei primi calcolatori a bobina grandi come armadi. Nacque così il Progetto 101, tradotto in un prototipo (chiamato "la Perottina" in omaggio al suo inventore) che dal 1963 al 1965 fu sviluppato tanto da diventare il primo vero pc portatile al mondo (chiamato calcolatore elettronico dal suo fondatore).
La storia continua. In quegli anni, morto il fondatore Adriano, l'Olivetti iniziò ad avere problemi economici, e vide l'ingresso degli americani della General Electric nella compagine azionaria. Perotto e il suo team continuarono a lavorare al progetto, ma  di nascosto perchè il nuovo management, perplesso su questo scatolotto che usava l'elettronica e non la meccanica,  sentenziò: "un calcolatore portatile? Una follia, non avrà futuro". Chapeau.
Perotto, diciamo così, ci rimase male. Ma riuscì a presentare il suo prototipo a New York. Finì che la "Perottina" fu vista e copiata dal colosso HP, il quale anni dopo dovette anche versargli un risarcimento milionario.
Ma la frittata era fatta: il pc portatile era sbarcato negli Usa e da lì avrebbe preso il volo (non a caso, se qualcuno ha letto la biografia di Jobs, si ricorderà che il fondatore della Apple aveva visto da subito nella HP e nei suoi prototipi di personal computer la terra promessa nella quale, anni dopo, avrebbe sviluppato le sue idee).
Questa storia è vera, e si potrebbe sintetizzare così. Il personal computer è stato ideato, costruito e messo a punto in Italia. Da un giovane ingegnere che oggi pochi si ricordano.
Pensate cosa avrebbe significato per il nostro Paese brevettare l'invenzione, investirci in ricerca, blindare i nostri cervelli e cambiare, davvero, il mondo. Ma con un approccio "made in Italy". Alla faccia dei vari Gates, Jobs, Wozniak ed altri guru della Silicon Valley.
Ho raccontato questa storia perchè mi piange il cuore a leggere ogni giorno di posti di lavoro che si perdono, di fuga di cervelli, di giovani che non studiano e non lavorano. Chissà quanti Perotto ci sono stati e ci sono ancora in giro per l'Italia.
A loro dobbiamo dare fiducia, dobbiamo ricreare le condizioni per attrarre capitali e idee. Che pur ci sono, come tante energie insospettabili. A patto di ragionare su schemi nuovi, abbandonare rendite di posizione e riscoprire l'orgoglio di appartenenza ad una comunità che potrebbe davvero migliorare questo mondo. Se solo lo volesse.

martedì 4 giugno 2013

Il Premio "Mnemosine - Il tempo ritrovato" alla Fondazione Tertio Millennio - Onlus.

Oggi alle ore 18 ritirerò, per conto della Fondazione Tertio Millennio di cui sono Segretario Generale, il premio "Mnemosine" della Associazione "Il tempo ritrovato". Nella motivazione, si legge che il riconoscimento è conferito per il sostegno all'economia responsabile ed alla tutela dell'ambiente. La Fondazione, in particolare, ha attivato da alcuni anni un importante progetto di microfinanza in Ecuador, con il quale aiutiamo oltre 65 mila famiglie di campesinos ad affrancarsi dalla povertà e dall'usura. Più recentemente, nell'ambito della collana "Quaderni" che la Fondazione dedica ai temi della cooperazione di credito, abbiamo pubblicato il volume "Natura e Creato. La sfida ambientale per le BCC". Dedichiamo questo riconoscimento a tutti quelli che, dal 2003 ad oggi, hanno creduto nelle potenzialità di un organismo che, in contesti difficili, aiuta davvero lo sviluppo e la promozione umana. Se volete saperne di più, abbiamo da poco attivato la pagina Facebook "Fondazione Tertio Millennio - Onlus". Tra i progetti di punta, infine, il "Laboratorio Sud" con il quale, dal 2008 ad oggi, abbiamo sostenuto oltre 80 progetti di job creation nel Mezzogiorno. Molti in collaborazione con le Diocesi e con le associazioni partner, prima fra tutti "Libera". Un grazie particolare infine a Cinzia Ministeri, instancabile coordinatrice dei progetti e punto di collegamento con tutti i nostri partners.

lunedì 3 giugno 2013

Chi ha paura del tempo indeterminato.

"Le parole sono importanti!" diceva, esasperato, Nanni Moretti in Palombella Rossa, prendendo a schiaffi la sua intervistatrice. Bene, questa scena mi è tornata in mente in questi giorni leggendo delle varie proposte per innescare la ripresa e creare occupazione. Riforme si, riforme no, modifica della legge fornero, riforma dell'apprendistato, flessibilità concordata. E chi più ne ha più ne metta. E se la parolina magica, finora mai sentita, fosse "assunzione a temo indeterminato"?
Mi spiego meglio. Concordo con le modifiche strutturali al mercato del lavoro (che resta comunque una pessima espressione), con i rischi della globalizzazione ed il decentramento produttivo, con le esigenze delle imprese di avere costi sostenibili. Ma tutto questo che c'entra con la semplice, pura verità (e sacrosanto diritto) di avere sempre e comunque un contratto sul quale c'è scritto "assunzione a tempo indeterminato"?
Poi saranno le condizioni di mercato, aziendali, personali a stabilire se quel rapporto potrà proseguire o meno. Ma scrivere -  prima di sapere tutto questo, ipotecando il futuro  -  che quel rapporto avrà comunque un che di precario, è distruttivo. Assumiamo a tempo indeterminato sempre e comunque e vedrete che i consumi ripartiranno, le banche torneranno a concedere mutui, il mercato immobiliare si metterà di nuovo in moto, i costi previdenziali si equilibreranno, generando una spirale positiva che poi avrà ricadute sulle stesse imprese.
Il Parlamento si sbrighi a studiare una legge che aiuti le imprese ad assumere (defiscalizzando oneri sociali, alleggerendo le tasse sul lavoro) in cambio di assunzioni a tempo indeterminato. Non è una questione ideologica, ma di buon senso. Capace di innescare una spirale di fiducia. Troppo berlusconismo brunettiano in salsa sacconiana (forzando anche le parole del povero Marco Biagi) hanno prodotto, negli anni, eserciti di precari senza un futuro. Non sarebbe anche questa una buona proposta di sinistra?