lunedì 3 giugno 2013

Chi ha paura del tempo indeterminato.

"Le parole sono importanti!" diceva, esasperato, Nanni Moretti in Palombella Rossa, prendendo a schiaffi la sua intervistatrice. Bene, questa scena mi è tornata in mente in questi giorni leggendo delle varie proposte per innescare la ripresa e creare occupazione. Riforme si, riforme no, modifica della legge fornero, riforma dell'apprendistato, flessibilità concordata. E chi più ne ha più ne metta. E se la parolina magica, finora mai sentita, fosse "assunzione a temo indeterminato"?
Mi spiego meglio. Concordo con le modifiche strutturali al mercato del lavoro (che resta comunque una pessima espressione), con i rischi della globalizzazione ed il decentramento produttivo, con le esigenze delle imprese di avere costi sostenibili. Ma tutto questo che c'entra con la semplice, pura verità (e sacrosanto diritto) di avere sempre e comunque un contratto sul quale c'è scritto "assunzione a tempo indeterminato"?
Poi saranno le condizioni di mercato, aziendali, personali a stabilire se quel rapporto potrà proseguire o meno. Ma scrivere -  prima di sapere tutto questo, ipotecando il futuro  -  che quel rapporto avrà comunque un che di precario, è distruttivo. Assumiamo a tempo indeterminato sempre e comunque e vedrete che i consumi ripartiranno, le banche torneranno a concedere mutui, il mercato immobiliare si metterà di nuovo in moto, i costi previdenziali si equilibreranno, generando una spirale positiva che poi avrà ricadute sulle stesse imprese.
Il Parlamento si sbrighi a studiare una legge che aiuti le imprese ad assumere (defiscalizzando oneri sociali, alleggerendo le tasse sul lavoro) in cambio di assunzioni a tempo indeterminato. Non è una questione ideologica, ma di buon senso. Capace di innescare una spirale di fiducia. Troppo berlusconismo brunettiano in salsa sacconiana (forzando anche le parole del povero Marco Biagi) hanno prodotto, negli anni, eserciti di precari senza un futuro. Non sarebbe anche questa una buona proposta di sinistra?

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