venerdì 4 ottobre 2013

Il modello X factor e le vittime di Lampedusa

Di fronte alle cronache del dolore da Lampedusa (su tutte, suggerisco anche la lettura del reportage di Domenico Quirico oggi sulla  Stampa), l'istinto sarebbe quello di tacere. "Oggi è il giorno del pianto" ha detto poco fa Papa Francesco ad Assisi.
Ha ragione. Ma tacere non deve diventare un alibi. E' straziante l'immagine di quelle centinaia di corpi ammassati nell'hangar dell'aeroporto. E sapere che dentro quei sacchi verdi e blu ci sono bambine con i capelli ricci e neri e le scarpine di vernice, ragazzi con le foto dei genitori nella tasca dei jeans, persone. Che avevano un nome, una storia, una vita.
Se non si entra in questa dimensione, non si potrà mai comprendere la follia - prima di tutto - del reato di immigrazione clandestina inventato, per primi al mondo (cosa di cui non andare fieri), proprio dal nostro Paese. Impacchettare tutto con il termine "clandestino" significa non voler sapere, o immaginare, che dietro ogni "clandestino"  c'è una storia, un nome, una famiglia, una speranza di vita migliore. Dove è finita l'idea di solidarietà sulla quale si è costruito l'ideale dell'Europa unita. Ma, aggiungo, dove è finita l'idea di solidarietà che ha sempre fatto del nostro Paese un modello di integrazione, vita collettiva, benessere sociale? Non mi spingo a parlare dell'idea di fraternità e reciprocità, non è questo il luogo. Ma siamo stati portatori, dal Medioevo a tutto l'800, di una idea di convivenza civile e modello economico basati sulla ricerca del bene collettivo. Senza dire "tu si", "tu no". Con quale diritto si può dire "tu si" , "tu no"? Non siamo a X factor. Ma X factor è, rapportato alle situazioni,  il modello cui tutti, oggi, anche inconsapevolmente, tendiamo. Un modello che ci gratifica e ci rassicura (perchè scegliamo ed escludiamo).
Il mix perverso di queste  mancanze determina tragedie come quelle di Lampedusa. Da un lato l'Europa che considera l'immigrazione mediterranea un problema italiano; dall'altro l'Italia che improvvisamente scopre, dopo un ventennio di ubriacatura dopante, di essere un Paese di frontiera, pieno di problemi, che ha chiuso troppe volte gli occhi. Sappiate, sappiate, che dal 2000 ad oggi sono almeno 6.700 i corpi di uomini, donne e bambini che giacciono nel Canale di Sicilia. Chi darà loro giustizia? Sono morti in nome di quale Dio?
Non ho una soluzione, ovviamente. Ma questa non può che essere frutto di una consapevolezza profonda. Della tragedia di esseri umani e della necessità che un intero Continente unisca le forze per evitare altre Lampedusa. Ma la soluzione deve anche passare per le norme, per il diritto positivo. Cambiare la Bossi Fini, cancellando il reato odioso di clandestinità, avrebbe una enorme valenza culturale e contribuirebbe a riportare il dibattito sull'immigrazione (ineluttabile, ineliminabile) su un terreno dove trovare soluzioni e sul quale confrontarsi. Senza la scorciatoria del "tu si", "tu no". Preghiamo per i morti di Lampedusa e per tutti coloro che sono state vittime del nostro telecomando.

Nessun commento:

Posta un commento