“Fortunato
il popolo che non ha bisogno di eroi”, scrisse Brecht. Mi è venuta
in mente questa frase leggendo stamattina i commenti al piano shock per
rilanciare consumi ed occupazione presentato ieri da Matteo Renzi, presidente
del Consiglio e leader del Partito Democratico.
Un coro
pressoché unanime di consensi, dal sindacato a Confindustria (tranne i contras
per definizione, vale a dire i Cinquestelle e la Lega, in buona compagnia con i
Fratelli d’Italia).Perfino Marcello dell’Utri, ex braccio destro del Cavaliere, si è lanciato in lodi sperticate del giovane Premier capace – a suo dire - di ammaliare, convincere, portare empaticamente tutti dalla sua parte.
Insomma, se
c’era bisogno di un nuovo “eroe popolare”, forse l’abbiamo trovato.
Tutto bene?
Non so.
Non entro
nel merito delle misure (che, ho già scritto, spero davvero siano realizzabili
nei tempi indicati: l’aumento degli stipendi più bassi, l’aumento della
tassazione delle rendite finanziarie, perfino un nuovo fondo per le imprese
sociali, le riforme di lavoro, fisco, giustizia…).
Volevo però,
staccandomi dalla figura di Matteo Renzi che ammiro ma non invidio per il suo
piglio e il suo coraggio sfrontato, considerare il quadro che abbiamo davanti e
sotto gli occhi: un parlamento di nominati che fatica a fare una legge
elettorale in grado di ridare effettivo potere agli elettori; un governo che
non nasce dalle urne e dalla volontà popolare ma da una indubbia forzatura istituzionale
(peraltro senza un voto di sfiducia parlamentare al governo precedente); un
premier che non è neppure parlamentare e che quindi de facto non rappresenta nessun italiano, ma ha un potere immenso.
E in questo
clima che succede? Che tutti, o almeno la stragrande maggioranza degli italiani
dice: “speriamo ce la faccia” (io compreso). Affidandosi a questo giovane
quarantenne che promette di prendere in mano la situazione e cambiarla
radicalmente. Insomma, un “eroe” cui affidare le poche risorse rimaste. Perché non
di esauriscano del tutto.
E’ questa la
vera anomalia della situazione, che ci fa capire come siamo in una terra di
mezzo. Non potremmo chiamarla “democrazia” nel senso dell’esercizio più puro
della rappresentazione formale della volontà popolare, non possiamo ovviamente
chiamarla “dittatura” perché questo non è. Come definirla, allora?
Non lo so.
La cosa bizzarra è che tutto questo è avvenuto nel rispetto “formale” delle
leggi vigenti. Ma qui nasce il dubbio amletico: e se la legge, troppo spesso costruita
ad arte, fiaccasse lentamente la capacità di tenuta del paese sotto il profilo
della partecipazione democratica? Matteo Renzi e il Pd sono consapevoli di
questo subdolo meccanismo perverso che oggi li sta beneficando? Non mi piacciono i tanti segnali inquietanti
di insofferenza verso chi “non capisce” questo "decisionismo" o prova a sollevare
dei dubbi che ritengo legittimi. Non tanto nel merito, ma nel metodo.
La forma è sostanza, no?
Penso allora
che il compito della buona politica –
oltre al “fare” cose buone per il bene comune – sia oggi più che mai quello di
vigilare sulla difesa dei principi grazie ai quali il nostro Paese, dopo il
dramma della guerra, è potuto crescere e diventare spesso modello di
riferimento. Principi che si chiamano “partecipazione”, condivisione, creazione faticosa del consenso
in grado di rappresentare le complessità di un Paese complicato come il nostro.
E’ faticoso,
si. Molto. Ma è un buon investimento per il futuro. Nostro e dei nostri figli.
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