giovedì 13 marzo 2014

Fortunato il popolo che non ha bisogno di eroi


“Fortunato il popolo che non ha bisogno di eroi”, scrisse Brecht. Mi è venuta in mente questa frase leggendo stamattina i commenti al piano shock per rilanciare consumi ed occupazione presentato ieri da Matteo Renzi, presidente del Consiglio e leader del Partito Democratico.
Un coro pressoché unanime di consensi, dal sindacato a Confindustria (tranne i contras per definizione, vale a dire i Cinquestelle e la Lega, in buona compagnia con i  Fratelli d’Italia).
Perfino Marcello dell’Utri, ex braccio destro del Cavaliere, si è lanciato in lodi sperticate del giovane Premier  capace – a suo dire -  di ammaliare, convincere, portare empaticamente tutti dalla sua parte.

Insomma, se c’era bisogno di un nuovo “eroe popolare”, forse l’abbiamo trovato.
Tutto bene? Non so.

Non entro nel merito delle misure (che, ho già scritto, spero davvero siano realizzabili nei tempi indicati: l’aumento degli stipendi più bassi, l’aumento della tassazione delle rendite finanziarie, perfino un nuovo fondo per le imprese sociali, le riforme di lavoro, fisco, giustizia…).
Volevo però, staccandomi dalla figura di Matteo Renzi che ammiro ma non invidio per il suo piglio e il suo coraggio sfrontato, considerare il quadro che abbiamo davanti e sotto gli occhi: un parlamento di nominati che fatica a fare una legge elettorale in grado di ridare effettivo potere agli elettori; un governo che non nasce dalle urne e dalla volontà popolare  ma da una indubbia forzatura istituzionale (peraltro senza un voto di sfiducia parlamentare al governo precedente); un premier che non è neppure parlamentare e che quindi de facto non rappresenta nessun italiano, ma ha un potere immenso.
E in questo clima che succede? Che tutti, o almeno la stragrande maggioranza degli italiani dice: “speriamo ce la faccia” (io compreso). Affidandosi a questo giovane quarantenne che promette di prendere in mano la situazione e cambiarla radicalmente. Insomma, un “eroe” cui affidare le poche risorse rimaste. Perché non di esauriscano del tutto.
E’ questa la vera anomalia della situazione, che ci fa capire come siamo in una terra di mezzo. Non potremmo chiamarla “democrazia” nel senso dell’esercizio più puro della rappresentazione formale della volontà popolare, non possiamo ovviamente chiamarla “dittatura” perché questo non è. Come definirla, allora?

Non lo so. La cosa bizzarra è che tutto questo è avvenuto nel rispetto “formale” delle leggi vigenti. Ma qui nasce il dubbio amletico: e se la legge, troppo spesso costruita ad arte, fiaccasse lentamente la capacità di tenuta del paese sotto il profilo della partecipazione democratica? Matteo Renzi e il Pd sono consapevoli di questo subdolo meccanismo perverso che oggi li sta beneficando?  Non mi piacciono i tanti segnali inquietanti di insofferenza verso chi “non capisce” questo "decisionismo" o prova a sollevare dei dubbi che ritengo legittimi. Non tanto nel merito,  ma nel metodo. La forma è sostanza, no?
Penso allora che il compito della buona politica  – oltre al “fare” cose buone per il bene comune – sia oggi più che mai quello di vigilare sulla difesa dei principi grazie ai quali il nostro Paese, dopo il dramma della guerra, è potuto crescere e diventare spesso modello di riferimento. Principi che si chiamano “partecipazione”,  condivisione, creazione faticosa del consenso in grado di rappresentare le complessità di un Paese complicato come il nostro.

E’ faticoso, si. Molto. Ma è un buon investimento per il futuro. Nostro e dei nostri figli.

 

 

 

 

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